Dopo aver parlato degli scenari attuali dell'osservazione della Terra da satellite, iniziamo a dare un'occhiata a ciò che ci riservano i prossimi anni. Non avremo bisogno di andare troppo lontano, perché una parte di questo futuro sta nascendo proprio in questi giorni.
Da quanto abbiamo detto finora, si intuisce che il futuro dell'Earth
Observation (EO) è entusiasmante e si snoda su diversi scenari: mentre
continuerà la bella avventura di Copernicus, con il lancio previsto
degli altri satelliti della costellazione Sentinel e i dati accessibili
con licenze open, i grandi operatori continueranno a lanciare
satelliti con risoluzione spaziale e spettrale possibilmente sempre più
alta. Nel frattempo assisteremo al proliferare di costellazioni di mini e micro satelliti.
Quello dei mini-satelliti è un discorso molto innovativo, che riguarda da un lato la dimensione dei satelliti, e dall'altro il modo in cui vengono realizzati.
Parlando di dimensioni, bisogna ricordare che i satelliti per l'osservazione della Terra "tradizionali" sono tipicamente molto grossi e pesano tanto. Ad esempio WorldView-3, di cui abbiamo già parlato e che nella foto accanto è raffigurato mentre era in costruzione, è alto quasi 6 metri e pesa più di 2 tonnellate e mezzo.
E' facile comprendere quanto sia complesso e costoso lanciare un bestione di questi nello spazio, e farlo entrare in orbita.
Complesso, costoso e... rischioso. Nonostante vengano lanciati continuamente oggetti nello spazio, infatti, non tutto fila sempre liscio. Guardate per esempio cosa è successo a giugno alla Space X di Elon Musk (si, quello della Tesla), a pochi mesi di distanza dall'incidente dell'Antares di ottobre dello scorso anno.
Queste missioni sfortunate avevano entrambe l'obiettivo di raggiungere la ISS - Stazione Spaziale Internazionale (quella su cui ha passato più di 6 mesi Samantha Cristoforetti) e rifornirla di attrezzature scientifiche e... mini-satelliti, come quelli di Planet Labs, che pesano 'solo' 120 kg ciascuno e dalla ISS vengono poi lanciati nello spazio, come si vede in questo bellissimo video:
E' interessante notare che nonostante gli incidenti dell'ultimo anno, né Space X né Planet Labs hanno subíto contraccolpi devastanti, ed hanno portato avanti le proprie attività continuando a lanciare nuovi satelliti.
Come infatti racconta in questa intervista Will Marshall, CEO di Planet Labs, la strategia che prevede di mettere in orbita una costellazione di mini-satelliti, soprattutto se questi sono realizzati con componenti a basso costo, rende l'approccio allo spazio più sostenibile e meno rischioso, perché la capacità dell'intera costellazione è meno legata all'efficienza dei singoli elementi che la compongono.
Già qualche anno fa il lungimirante Giovanni Sylos Labini aveva spiegato, sul blog di Planetek Italia, in che modo i mini-satelliti cambiano l'economia dello Spazio, individuando aree di riduzione dei costi in tutto il sistema di bordo e di terra, e adottando componenti industriali prodotti per mercati molto più ampi, invece che finanziare costose attività di ricerca e sviluppo per componenti da produrre in poche unità.
Grazie a questo piano così aggressivo ed avvincente, che BlackSky ha chiamato "Satellite imaging as a Service", questa azienda di Seattle ha suscitato addirittura l'interesse di Hexagon AB, che ha già annunciato l'offerta di questi dati nella sua offerta commerciale HxIP: l'Hexagon Imagery Program, il servizio web-based per la distribuzione di dati satellitari e da aereo di tutto il mondo. Questo programma, grazie alle numerose partnership che Hexagon ha siglato con altre importanti realtà del settore geospaziale (tra cui Airbus DS), mette a disposizione degli utenti un vasto archivio di dati ad altissima risoluzione in continuo aggiornamento, ed offre anche accesso a dati LIDAR e modelli digitali del terreno.
SkyBox non è l'unica a girare filmini della Terra dallo spazio, perché c'è anche Urthecast che ha montato delle "videocamere" sulla ISS, In realtà sulle applicazioni che sfruttino questo genere di riprese video c'è ancora tanto da lavorare, e ancora non ho visto in giro niente di davvero rivoluzionario, se non per applicazioni di intelligence in ambito militare. Quando però i satelliti in orbita saranno un bel po', e le riprese video possibili inizieranno a crescere in maniera significativa, ne vedremo delle belle.
Quando parlo di Big Data satellitari mi riferisco a due fenomeni principali: la quantità di informazioni offerte dai sistemi di osservazione della Terra e la nostra progressiva capacità di memorizzare, elaborare ed analizzare questi dati. Com'è noto, per descrivere il fenomeno dei Big Data, si usano in genere le quattro V, che ben si adattano anche alle immagini satellitari: Volume, Velocità, Varietà e Veridicità. Non mi soffermo su queste quattro e le darò per scontate. Voglio concludere invece questa serie di articoli sottolineando che tutta questa disponibilità di dati sarà sprecata se non riusciamo a trasformarla in reale Valore, che è secondo me la V più importante.
Affinché questi dati esprimano tutto il loro valore ci sono due nodi da sciogliere. Uno è legato alla tecnologia, ma l'altro si riferisce alla domanda di servizi basati su questi dati.
Dal punto di vista della tecnologia ci sono alcune parole chiave che sento citate sempre più spesso quando si parla dei Big Data geospaziali: certamente vedremo un crescente impatto del Software As A Service e della fruizione su Cloud dei servizi basati su questi dati. Sarà sempre più importante spostare l'elaborazione dei dati, dal loro utilizzo in ambienti desktop con interfacce grafiche pensate per utenti umani, ad un processamento massivo grazie a workflow di elaborazione automatici.
Ieri il mio amico Andrea Borruso mi ha suggerito un articolo che evidenzia le ultime tendenze nel mondo del mapping, e che nelle sue conclusioni conforta questa mia analisi. Chi lavora con dati geospaziali in maniera tradizionale, spesso è costretto a sprecare il proprio tempo in ripetitive e noiose operazioni che succhiano tempo. Si pensi ad attività come lo scarico di dati, l’elaborazione attraverso molteplici software che richiedono continue conversione di formati, la creazione di cataloghi di metadati e la pubblicazione on-line di dati e mappe. Tempo sottratto alle attività di maggiore valore come l’analisi dei risultati ottenuti, fondamentale per l’adozione di decisioni.
La soluzione a questo problema è nella creazione di flussi di lavoro automatizzati, che assicurino risultati standardizzati e ripetibili, e che garantiscano l'accesso via web a dati e processi, ma soprattutto alle informazioni da essi generate.
Sarà cruciale poi affidare ai nostri strumenti mobili la rappresentazione di queste informazioni, sotto forma di indicatori e mappe dinamiche, perché ci garantiscono una reale conoscenza dei fenomeni investigati e ci aiutino a fare delle scelte. Su questo stiamo lavorando con le Smart M.Apps di Hexagon Geospatial, e ci torneremo spesso nei prossimi mesi.
Nel frattempo dovremo lavorare sulla crescita di una reale domanda per queste informazioni e conoscenza, che poi è la domanda di servizi basati sull'osservazione della Terra di cui parlavo anche nell'articolo precedente.
Ad oggi si stima che, nella proiezione al 2030 dei dati del settore EO, l'80% sarà ancora costituito da una domanda diretta o indiretta di servizi pubblici. Sarà sufficiente a rendere sostenibili - cioè economicamente vantaggiosi e competitivi dal punto di vista delle prestazioni - i sistemi spaziali che abbiamo visto finora?
Perché ciò accada, bisognerà cercare i metodi più opportuni per far crescere notevolmente questa domanda, semplificando l'accesso ai dati da parte delle aziende, favorendo l'accesso industriale ai fondi per la ricerca e promuovendo gli appalti pre-commerciali. Questi in particolare possono contribuire ad aumentare la consapevolezza ed il coinvolgimento dell'utenza, favorendo il cosiddetto user uptake, e creando le condizioni perché si affermi un mercato dei servizi EO che sappia rendere finalmente sostenibili le applicazioni dell’osservazione della Terra per gli utenti.
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Questo post è l'ultimo di una serie dedicata all'osservazione della Terra:
Minisatelliti di PlanetLabs |
Tra i satelliti che acquisiscono immagini ad altissima risoluzione attendiamo l'avvento di WorldView-4, che raddoppierà la capacità della costellazione di fornire immagini con 30cm di risoluzione, garantendo di fatto un monopolio alla DigitalGlobe nella fornitura di immagini con questo straordinario dettaglio. Il lancio è previsto per settembre del prossimo anno:
Coming September 2016: WorldView-4 launch with @ulalaunch - doubling the global supply for 30 cm imagery!
— DigitalGlobe (@DigitalGlobe) 9 Ottobre 2015
Questo investimento risponde alla domanda di informazioni della National Geospatial-Intelligence Agency statunitense (NGA), che è il principale committente di DigitalGlobe. Il programma americano chiamato Enhanced View ha l'obiettivo di fornire all'intelligence americana l'accesso continuo a immagini aggiornate su tutto il globo terrestre per supportare le attività militari.
A quanto pare, però, anche l'NGA inizia a guardare con interesse alle potenzialità delle costellazioni di mini-satelliti, e pur senza modificare l'attuale contratto con DigitalGlobe,potrebbe investire già dal prossimo anno nella sperimentazione con i diversi fornitori di immagini satellitari che si affacciano sul mercato con modelli di business differenti. Per DigitalGlobe, che negli ultimi anni ha combattuto la concorrenza "mangiandosela", come ha fatto con GeoEye qualche anno fa, questo significherà fare i conti con rivali molto diversi da quelli tradizionali. Vediamo perché.
Mini e micro satelliti
WorldView-3 in costruzione |
Parlando di dimensioni, bisogna ricordare che i satelliti per l'osservazione della Terra "tradizionali" sono tipicamente molto grossi e pesano tanto. Ad esempio WorldView-3, di cui abbiamo già parlato e che nella foto accanto è raffigurato mentre era in costruzione, è alto quasi 6 metri e pesa più di 2 tonnellate e mezzo.
E' facile comprendere quanto sia complesso e costoso lanciare un bestione di questi nello spazio, e farlo entrare in orbita.
Complesso, costoso e... rischioso. Nonostante vengano lanciati continuamente oggetti nello spazio, infatti, non tutto fila sempre liscio. Guardate per esempio cosa è successo a giugno alla Space X di Elon Musk (si, quello della Tesla), a pochi mesi di distanza dall'incidente dell'Antares di ottobre dello scorso anno.
Queste missioni sfortunate avevano entrambe l'obiettivo di raggiungere la ISS - Stazione Spaziale Internazionale (quella su cui ha passato più di 6 mesi Samantha Cristoforetti) e rifornirla di attrezzature scientifiche e... mini-satelliti, come quelli di Planet Labs, che pesano 'solo' 120 kg ciascuno e dalla ISS vengono poi lanciati nello spazio, come si vede in questo bellissimo video:
E' interessante notare che nonostante gli incidenti dell'ultimo anno, né Space X né Planet Labs hanno subíto contraccolpi devastanti, ed hanno portato avanti le proprie attività continuando a lanciare nuovi satelliti.
Come infatti racconta in questa intervista Will Marshall, CEO di Planet Labs, la strategia che prevede di mettere in orbita una costellazione di mini-satelliti, soprattutto se questi sono realizzati con componenti a basso costo, rende l'approccio allo spazio più sostenibile e meno rischioso, perché la capacità dell'intera costellazione è meno legata all'efficienza dei singoli elementi che la compongono.
Già qualche anno fa il lungimirante Giovanni Sylos Labini aveva spiegato, sul blog di Planetek Italia, in che modo i mini-satelliti cambiano l'economia dello Spazio, individuando aree di riduzione dei costi in tutto il sistema di bordo e di terra, e adottando componenti industriali prodotti per mercati molto più ampi, invece che finanziare costose attività di ricerca e sviluppo per componenti da produrre in poche unità.
Nell'intervista citata all'inizio di questa serie di articoli, sempre Giovanni dice:
"[le costellazioni di minisatelliti] sembrano offrire un nuovo approccio alla raggiungibilità dello spazio, ed in alcuni casi anche un approccio più sostenibile dal punto di vista economico. Una buona parte di questa teoria deve essere ancora dimostrata, ma sicuramente iniziano ad avere nuovi ingredienti per costruire quelle che possono essere le missioni di osservazione della Terra del futuro. Quello che possiamo immaginare è che molti di questi sistemi avranno maggiori capacità a bordo, e saranno più capaci di muoversi in maniera collettiva, come singoli oggetti in orbita intorno alla terra."
Per questo, nel prossimo futuro, il successo dei "classici" operatori satellitari sarà minacciato da realtà commerciali con un diverso DNA e differenti modelli di business. Non c'è infatti solo Planet Labs a lanciare i suoi mini-satelliti.
Uno Spazio pieno di mini-satelliti
Dal prossimo anno BlackSky Global inizierà la sua avventura nello spazio, lanciando in orbita i primi 6 dei 60 satelliti che prevede di schierare in costellazione entro il 2019. L'obiettivo è coprire l’intero territorio terrestre con frequenza giornaliera, alla risoluzione di 1 metro per pixel.
Hexagon Imagery Program |
Un'altra che sta lanciando man mano i suoi piccoli satelliti è SkyBox Imaging, che ha saputo catturare le attenzioni di una certa Google, al punto che il colosso di Mountain View se l'è comprata l'anno scorso. La costellazione di SkyBox è in grado di acquisire non solo immagini, ma anche riprese video della durata di oltre un minuto. Guardate il video seguente per capire di cosa parliamo:
SkyBox non è l'unica a girare filmini della Terra dallo spazio, perché c'è anche Urthecast che ha montato delle "videocamere" sulla ISS, In realtà sulle applicazioni che sfruttino questo genere di riprese video c'è ancora tanto da lavorare, e ancora non ho visto in giro niente di davvero rivoluzionario, se non per applicazioni di intelligence in ambito militare. Quando però i satelliti in orbita saranno un bel po', e le riprese video possibili inizieranno a crescere in maniera significativa, ne vedremo delle belle.
Big Data satellitari
Da quanto abbiamo visto finora, tra l'attuale offerta di dati ad altissima risoluzione spaziale ed un futuro dirompente con elevatissima risoluzione temporale, è chiaro che siamo già in pieno diluvio di dati. Bere o affogare?Definizione delle 4V dei Big Data |
Affinché questi dati esprimano tutto il loro valore ci sono due nodi da sciogliere. Uno è legato alla tecnologia, ma l'altro si riferisce alla domanda di servizi basati su questi dati.
Workflow automatico per l'analisi della torbidità marina con lo Spatial Modeler |
Ieri il mio amico Andrea Borruso mi ha suggerito un articolo che evidenzia le ultime tendenze nel mondo del mapping, e che nelle sue conclusioni conforta questa mia analisi. Chi lavora con dati geospaziali in maniera tradizionale, spesso è costretto a sprecare il proprio tempo in ripetitive e noiose operazioni che succhiano tempo. Si pensi ad attività come lo scarico di dati, l’elaborazione attraverso molteplici software che richiedono continue conversione di formati, la creazione di cataloghi di metadati e la pubblicazione on-line di dati e mappe. Tempo sottratto alle attività di maggiore valore come l’analisi dei risultati ottenuti, fondamentale per l’adozione di decisioni.
Sarà cruciale poi affidare ai nostri strumenti mobili la rappresentazione di queste informazioni, sotto forma di indicatori e mappe dinamiche, perché ci garantiscono una reale conoscenza dei fenomeni investigati e ci aiutino a fare delle scelte. Su questo stiamo lavorando con le Smart M.Apps di Hexagon Geospatial, e ci torneremo spesso nei prossimi mesi.
Nel frattempo dovremo lavorare sulla crescita di una reale domanda per queste informazioni e conoscenza, che poi è la domanda di servizi basati sull'osservazione della Terra di cui parlavo anche nell'articolo precedente.
Ad oggi si stima che, nella proiezione al 2030 dei dati del settore EO, l'80% sarà ancora costituito da una domanda diretta o indiretta di servizi pubblici. Sarà sufficiente a rendere sostenibili - cioè economicamente vantaggiosi e competitivi dal punto di vista delle prestazioni - i sistemi spaziali che abbiamo visto finora?
Perché ciò accada, bisognerà cercare i metodi più opportuni per far crescere notevolmente questa domanda, semplificando l'accesso ai dati da parte delle aziende, favorendo l'accesso industriale ai fondi per la ricerca e promuovendo gli appalti pre-commerciali. Questi in particolare possono contribuire ad aumentare la consapevolezza ed il coinvolgimento dell'utenza, favorendo il cosiddetto user uptake, e creando le condizioni perché si affermi un mercato dei servizi EO che sappia rendere finalmente sostenibili le applicazioni dell’osservazione della Terra per gli utenti.
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Questo post è l'ultimo di una serie dedicata all'osservazione della Terra: